sabato 5 giugno 2010

No man's land

Da "Il giunco mormorante" di Nina Berberova ed. Adelphi

Nella vita di ognuno esistono momenti - quando la porta sbattuta all'improvviso e senza alcun visibile motivo di colpo si riapre, quando lo spioncino chiuso un attimo fa viene di nuovo aperto, quando un brusco "no" che sembrava irrevocabile si muta in forse -, momenti in cui il mondo intorno a noi si trasfigura, e noi stessi ci rempiamo di speranza come di nuovo sangue. E' stata concessa una proroga a qualcosa di ineluttabile, definitivo; il verdetto di un giudice, del dottore, del console, è stato rinviato. Una voce ci avverte che non tutto è perduto. E con gambe tremanti e lacrime di gratitudine passiamo nel locale adiacente, dove ci pregano di prima di spingerci nel baratro.
(pag. 11)

"Fin dai primi anni della mia giovinezza pensavo che ognuno di noi ha la propria no man’s land, in cui è totale padrone di se stesso. C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. Ciò non significa affatto che, dal punto di vista dell’etica, una sia morale e l’altra immorale, o dal punto di vista della polizia, l’una lecita e l’altra illecita. Semplicemente, l’uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o in compagnia di qualcuno, anche soltanto un’ora al giorno, o una sera alla settimana, un giorno al mese; vive di questa sua vita libera e segreta da una sera (o da un giorno) all'altra, e queste ore hanno una loro continuità. Queste ore possono aggiungere qualcosa alla vita visibile dell’uomo oppure avere un loro significato del tutto autonomo; possono essere felicità, necessità, abitudine ma sono comunque sempre indispensabili per raddrizzare la "linea generale" dell’esistenza. Se un uomo non usufruisce di questo suo diritto o ne viene privato da circostanze esterne, un bel giorno scoprirà con stupore che nella vita non si è mai incontrato con se stesso, e cìè qualcosa di malinconico in questo pensiero. Mi fanno pena le persone che sono sole unicamente nella stanza da bagno, e in nessun altro tempo e luogo." (pagg. 36-37)

Aspettami

di Konstantìn Simonov, poeta russo (1915-1979)

Aspettami è come una lettera scritta dal fronte e indirizzata alla moglie; è del 1941. Da tanto tempo il poeta (o soldato) è lontano da casa; i suoi non hanno più notizie; non arrivano più lettere; perfino sua madre e suo figlio lo credono morto e hanno cessato di aspettarlo.
Egli scrive tra una marcia ed un assalto. Ogni giorno vede cadere al suo fianco qualche suo compagno. Sopravvivere "in mezzo al fuoco" è inaudito: ritornare una presunzione. Eppure sente che ce la farà, tornerà ad onta di tutti i compianti dei suoi compaesani "stretti intorno al fuoco", "ad onta di tutte le morti" a cui assiste purché sappia che lei lo aspetta; e la prega di non stancarsi di aspettarlo, di non arrendersi come gli altri, di aspettarlo in un modo diverso, "semplicemente - come nessun altro". Per il restante della vita soltanto loro due conosceranno il segreto per cui si è salvato: la sua attesa.

Aspettami ed io tornerò,
ma aspettami con tutte le tue forze.
Aspettami quando le gialle piogge
ti ispirano tristezza,
aspettami quando infuria la tormenta,
aspettami quando c'è caldo,
quando più non si aspettano gli altri,
obliando tutto ciò che accadde ieri.
Aspettami quando da luoghi lontani
non giungeranno mie lettere,
aspettami quando ne avranno abbastanza
tutti quelli che aspettano te.

Aspettami ed io tornerò;
non augurare del bene
a tutti coloro che sanno a memoria
che è tempo di dimenticare.
Credano pure mio figlio e mia madre
che io non sono più;
gli amici si stanchino di aspettare
e, stretti intorno al fuoco,
bevano vino amaro,
in memoria dell'anima mia...
Aspettami. E non t' affrettare
a bere insieme a loro.

Aspettami ed io tornerò
ad onta di tutte le morti.
E colui che ormai non mi aspettava,
dica che ho avuto fortuna.
Chi non aspettò non può capire
come tu mi abbia salvato
in mezzo al fuoco
con la tua attesa.
Solo noi due conosceremo
come io sia sopravvissuto:
tu hai saputo aspettare semplicemente
come nessun altro. *

*A. M. Ripellino, Poesia russa del Novecento, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 412-413
da Dalle Parole al Dialogo di Giuseppe Colombero ed. Paoline 1988